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Il libro di poesie “Una luce minima” di Maria Tina Alò (PlaceBook, 2020) ha il merito di illuminare gli spazi bui di una vita trascorsa con qualche disillusione

Un piccolo libro che inizia con la dedica “A Zoe isabella, figlia della luce e del vento”, merita già, prima di leggerlo, una certa considerazione. Ho una reazione allergica a quanto viene definito “paratesto”, in particolare alle prefazioni dei libri di poesia, perché molto spesso si esauriscono in un esercizio di enfasi osannante all’autore che non aiuta affatto il lettore in quanto il linguaggio adottato dagli illustri prefatori è spesso autoreferenziale. C’è chi si compiace di spiegare anche storicamente il contesto nel quale è nato il capolavoro, preavvisando lettori superficiali e distratti che sono in procinto di essere “illuminati” da un faro di pura poesia. Roba da intimidirsi! Il libro di Mariatina Alò, invece, si presenta umilmente come “una luce minima”, un titolo che le calza a pennello perché i suoi “versi liberi” fluttuano e planano soavi sulla pagina.  

Riflettiamo insieme e chiediamoci, senza complicazioni intellettualistiche, che cosa una poesia pu? dare a lettori che non si curano di endecasillabi e sonetti ma che al massimo ricordano ancora con nostalgia le filastrocche a rima baciata dell’infanzia. Rispondo con le parole efficaci che il prof. Luca Bernardini dedica alla poetessa polacca Wislawa Szymborska: “Il poeta, indipendentemente dal grado di istruzione, età, sesso e preferenze, nel profondo dell’anima è, e rimarrà sempre, un erede spirituale delle tribù primitive… É un animista, un feticista che crede nelle forze segrete che sonnecchiano in ogni cosa, ed è convinto che con l’aiuto di parole opportunamente scelte riuscirà a risvegliarle”. È quello che più o meno succede a un lettore attento. Improvvisamente si sente travolto da una forza segreta che gli fa gridare a squarciagola “È vero! È proprio così”! Leggendo ho scoperto anche io di essere una dei “passeggieri irrisolti”, che non riesce a trovare soluzioni “su un treno che viaggia al contrario”.

Talvolta penso che uno dei motivi per cui non si vendono in Italia libri di poesia è, oltre alle lambiccate e pretenziose pre/post/fazioni, il timore di guardarsi allo specchio e di trovare nei versi la lastra dei raggi X della propria anima. Il “non detto” crea barriere, muri di separazione e il poeta li abbatte scavando sino in fondo e scoprendo i significati nascosti delle parole. Qualche sera fa, prima di addormentarmi, ho letto la quartina finale di “Il tempo ci scavalca”: (…) E questo nostro amarci, questo accaderci l’uno dentro l’altro è forse la sola consolazione, che vibra nella memoria e ci tiene vivi. Ho spento la lampadina dell’abatjour e mi si è accesa una lucina, una luce minima, che ha illuminato il mio “buonanotte amore”, sussurrato mentre in lontananza risuonava il Bolero di Ravel. In quel momento “ho preso un pezzo/ di volontà, quella slegata/ dal raziocinio e lucente/mi sono messa/a desiderare/ indicibili cose”. 

Antonietta D'Introno

 

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