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monopoli damiano

 

Ho conosciuto Damiano Monopoli sui social. Guardo spesso una pagina Facebook che pubblica vecchie e nuove foto di Trinitapoli, immagini di personaggi ormai scomparsi, ritratti di fine anno delle classi di un tempo, notizie su tradizioni, piatti tipici del paese, composizioni in dialetto e tant’altro: una vera risorsa per chi vuole conoscere meglio una città dai ricordi, dalle testimonianze, dall’arguzia e creatività dei suoi cittadini.

Per circa due anni ho letto tutti i brani più o meno poetici di Damiano Monopoli, apprezzandone i temi, le metafore e la sua abilità di verseggiatore sia in italiano che in vernacolo anche se scritto così come si pronuncia, senza rispettare regole di trascrizione fonetica.

 

Ma chi è questa sorta di cantastorie di paese che “fotografa” in versi le chiacchiere estive della gente seduta di sera, “o’ frisck” sui marciapiedi? Chi è il cantore della panchina “in mezz o’ cors” sulla quale il nostro cuore è ancora seduto?

 

Damiano, ci parli un po’ di te, della tua famiglia, dei tuoi studi e della tua giovinezza?

 

«Sono l’ottavo di 10 figli. I miei genitori, analfabeti e con scarse risorse economiche, sono riusciti a non farci mancare mai l’essenziale e a metterci tutti sulla buona strada. La mia è stata una famiglia meravigliosa nonostante fosse afflitta, come è successo a mia madre, da generazioni di audiolesi. Sono nato nel 1974 al nord, a Vimercate, durante l’emigrazione dei miei. Sono tornato a Trinitapoli quando avevo 3 anni. Dopo il diploma di terza media, ho cominciato presto a lavorare nei tomaifici per dare una mano alla famiglia. A 20 anni ho tentato di trovare fortuna altrove senza grandi risultati e poi mi sono trasferito per 11 anni a Lecco dove ho lavorato come metalmeccanico. Sono tornato a Trinitapoli per stare vicino alla famiglia che aveva bisogno di aiuto ma ho trovato tutto cambiato e gli amici di un tempo dileguati, tra matrimoni e spostamenti per lavoro».

 

Cosa hai fatto quando sei tornato a Trinitapoli?

 

«Cose belle e cose brutte, come è la vita di ognuno di noi. Ho avuto il grande dolore di perdere mia madre, una donna straordinaria, audiolesa, che mi ha trasmesso la forza e il coraggio di andare avanti e di essere felice anche con il poco che abbiamo. Non mi sono sposato ma ho avuto delle fidanzate, donne che ho amato molto e che mi hanno aiutato a crescere e a conoscere me stesso. Ho fatto piccoli lavori, aiutando anche mio fratello, ma io sono affetto dalla malattia di famiglia perché ho avuto una otite con complicazioni serie che si è trasformata in mastoidite cronica. Ora, purtroppo, sono quasi del tutto audioleso e vivo con una piccola pensione. Grazie a Dio, nel quale credo senza essere un grande frequentatore di chiese, non ho perso l’energia di dedicarmi alle mie grandi passioni. Sono animalista e odio la caccia e gli animali in gabbia. Ho avuto per tanti anni un grande amico di nome Bruce, un boxer di taglia piccola, che ora corre beato nel paradiso degli animali. Mi sono occupato anche dei randagi, nell’associazione di volontari A.I.D.A.A. Onlus, che poi ha chiuso i battenti per mancanza di fondi».

 

Chiudiamo questa chiacchierata estiva con la poesia. Quando hai iniziato a scrivere versi?

 

«Alle scuole medie si usava riempire i diari di frasi ed io, già da allora, non mi accontentavo di scrivere banalità del tipo “con affetto e simpatia lascio qui la firma mia”. La poesia è subito entrata in me insieme alla musica; infatti, il mio desiderio era di scrivere testi musicali perché ascoltavo molto i grandi cantautori italiani, le cui parole sono poesie.

 

Quando mi viene in mente qualcosa di bello, scrivo su qualsiasi pezzo di carta, anche sulle bollette, come mi è capitato. Sono vissuto, poi, nel periodo in cui si scrivevano le lettere d’amore ed io ne ho scritte tantissime, molto romantiche, e altrettante ne ho ricevute e poi conservate gelosamente. La poesia fa parte della mia giornata e segue i miei umori, le mie emozioni, le mie gioie e le mie malinconie. Ho letto molto per imparare i rudimenti della composizione poetica. Mi basta un piccolo spunto e comincio a scrivere. Mi sento un cantastorie e il dialetto rende meglio i miei pensieri. Anche il poeta Peppino Lupo mi consigliò di andare avanti e di non dar retta a nessuno. Quando ho conosciuto su Facebook il gruppo “Trinitapoli e i suoi dintorni” ho notato che i miei scritti venivano letti con piacere e ho pensato di continuare una tradizione che stava scomparendo.

 

La poesia mi fa stare bene sin da ragazzino, quando mi attraeva molto di più del pallone.

 

A raccundè di me
mo fatt piacior assè
pour percè mo fatt pour sfughè
e fiero di cristiòn con cui stauch a parlè”.

 

(Raccontare di me mi ha fatto molto piacere, anche perché mi son potuto sfogare e mi ha reso fiero delle persone con cui sto a parlare)».

 

ANTONIETTA D’INTRONO

 

Via: Corriereofanto

 

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