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michele galasso

Ma Michele c’è stasera?”. Questa è la domanda che rivolgo sempre a chi con me organizza convegni, laboratori o mostre con l’intento di accogliere cordialmente i partecipanti e di assicurare un servizio d’ordine d’eccellenza.

 

La presenza del settantatreenne Michele Galasso e dei volontari della ANC, l’associazione di cui è presidente, rassicura tutti e consente ad ogni evento del paese di svolgersi senza disordini, in un’atmosfera di grande serenità e cortesia. L’ho conosciuto qualche anno fa in biblioteca, dove durante le manifestazioni pubbliche dava una mano alle bibliotecarie e dove ogni emergenza veniva risolta da lui con il sorriso e la tranquillità di chi è abituato a considerare la vita “non sempre rosa e fiori”.

 

Il volontario Michele Galasso, ex carabiniere, ex muratore, ex idraulico ed ex postino, ha avuto una esistenza colma di molteplici problemi legati al lavoro e alla responsabilità di mantenere decorosamente moglie e quattro figli.

 

Inoltre, il presidente dell’ANC, Michele Galasso, ha aiutato per anni, ogni giorno, un carissimo amico padre di due figli con gravi disabilità.

 

Ed è proprio nel silenzio pomeridiano della biblioteca che ascoltiamo il racconto di una persona che potrebbe scrivere un lungo libro autobiografico sulle sue esperienze di vita.

 

Cosa ricordi di più della tua gioventù?

 

«Sono nato a Trinitapoli nel 1950 da Francesco Galasso e da Grazia Santovito. Mio padre ha svolto parecchi lavori, mentre mia madre ha lavorato come sarta e come lavandaia per le famiglie più benestanti del paese. Sono il quinto di sei figli, di cui due morti prematuramente.

 

Ho un diploma di scuola media conseguito a Milano nel 1976 in una scuola serale mentre svolgevo l’attività di postino al mattino. Sono sposato con Angela Pappagallo dal 1972 ed abbiamo quattro figli, undici nipoti ed un pronipote.

 

Spesso mi chiedo se sono stato “uagnàun” (ragazzo), perché ho cominciato a lavorare da ragazzino come garzone presso il forno di Francesco Di Leo, come muratore con i F.lli Vanni e in seguito con l’impresa Basanisi. Contemporaneamente, aiutavo mio padre a svolgere l’attività di idraulico che ho continuato io dopo il suo infortunio alla gamba.

 

Nel 1966, in maniera saltuaria, ho fatto il portalettere guadagnandomi il titolo di “sostituto portalettere”. Arrivato alla maggiore età, ho fatto domanda nei Carabinieri e sono stato arruolato nel 1970 presso la caserma Cernaia di Torino e poi a Cosenza nel Nucleo Radiomobile fino al gennaio 1972, anno in cui per potermi sposare mi sono congedato. Ripresi, pertanto, il lavoro di muratore ed idraulico fino a quando fui chiamato a fare il postino a Milano centrale. Mi sono trasferito da solo a Milano nel 1974. Ebbi, poi, un incidente stradale in servizio che non mi fu mai riconosciuto come incidente sul lavoro.

 

Ricoverato in ospedale con trauma cranico, rimasi in coma ed ebbi fratture ad entrambi i polsi. Dopo questo periodo di malattia, mi dimisi e tornai a Trinitapoli riprendendo a fare l’idraulico. Nel 1978 fui richiamato nelle Poste a Milano centrale con sede a Limbiate.

 

Dalle 7.30 alle 14.00 prestavo servizio presso l’ufficio postale, dalle 15.00 alle 19.00 circa facevo l’idraulico per integrare lo stipendio e la notte ero volontario nella Croce d’Argento. Nel 1986/87 venni trasferito finalmente a Trinitapoli».

 

Qual è stata l’esperienza che maggiormente ha lasciato una traccia nella tua vita?

 

«Sicuramente l’incidente a Milano, perché ha pregiudicato tutte le mie aspirazioni, mi sono stati negati i diritti come incidente sul lavoro, mi ha condizionato la vita lavorativa e mi ha costretto a ritornare mio malgrado a Trinitapoli, mentre avrei voluto costruire il futuro della mia famiglia in Brianza.

 

Confesso che non dimenticherò più anche la recente grande emozione provata nella festa per il 50esimo anniversario della mia Associazione. Ho lavorato a lungo per preparare questa manifestazione che ha visto la collaborazione del Maresciallo Giovanni Colucci che ha regalato il disegno di Piazza Umberto per gli inviti e per gli attestati rilasciati. Molte sono state le attestazioni di affetto ricevute da semplici cittadini, dalla Commissione straordinaria nella persona della dott.ssa Giuseppina Ferri, da tanti insegnanti e naturalmente dalla mia famiglia».

 

Cosa ti ha spinto a dedicarti all’impegno sociale?

 

«Tornato a Trinitapoli, dopo il congedo da carabiniere nel 1972, mi iscrissi alla locale sezione ANC.

 

Nei primi anni 2000, ad una manifestazione sui disabili e portatori di handicap, conobbi Nicola Belardi, brigadiere dei carabinieri, padre di due ragazzi che soffrivano di una malattia rara ereditaria.

 

Rimasi colpito dalla loro forza d’animo, sebbene fossero entrambi costretti a vivere su una sedia a rotelle, e dal coraggio e dalla dignità dei loro genitori.

 

Con l’amico Nicola Belardi ci prodigammo affinché la sede locale dell’ANC diventasse un’associazione di volontariato. Dopo la sua morte, avvenuta nel 2013, frequentai più assiduamente la famiglia Belardi per aiutare i ragazzi. E di pari passo crebbe la mia passione per le attività di volontariato che mi spinse a promuovere le campagne di Telethon, AISM, e a frequentare i reparti pediatrici dell’ospedale “Dimiccoli” di Barletta.

 

Nel 2010, sono iniziate le attività di supporto e di sorveglianza presso i plessi scolastici e nelle manifestazioni cittadine e dal 2014 in poi presso la Biblioteca comunale. Durante il terremoto in Emilia-Romagna sono andato in quella regione con alcuni soci per aiutare la popolazione colpita da questa sciagura.

 

Nel 2015, organizzai per l’ANC un convegno di tre giorni con il personale della Biblioteca, contro il bullismo e il cyberbullismo, che ebbe la presenza del Prefetto, di esponenti della Questura di Foggia e degli avvocati del Tribunale di Trani specializzati in reati ai danni di minorenni».

 

Durante la tua opera di volontariato hai conosciuto storie, sofferenze e problematiche della tua comunità. C’è qualche episodio che ti ha particolarmente coinvolto?

 

«La morte di Pasqualino, il secondogenito del brigadiere Nicola Belardi.

 

Il ragazzo era ricoverato nell’ospedale di Barletta per una insufficienza respiratoria, aggravata dalle conseguenze della malattia degenerativa. Poiché la madre era a casa per assistere l’altro figlio, Savino, e non aveva parenti prossimi, andavo io ogni giorno in reparto ad assisterlo. In un pomeriggio indimenticabile, Pasqualino, tra gli spasmi, riuscì a pronunciare la parola: aiutami!

 

L’ho abbracciato e mi sono reso conto che ormai metà del corpo era freddo, mentre il lato destro era più tiepido. Pasqualino è morto fra le mie braccia prima che i suoi dottori, chiamati da me immediatamente, potessero intervenire.

 

La sensazione della morte che prende il sopravvento fu per me devastante. Ed ancora oggi mi commuove il solo pensiero. Spero soltanto di aver alleggerito almeno un po’ le sue sofferenze».

 

ANTONIETTA D’INTRONO

 

Via: Corriereofanto

 

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