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Scrittore che, come dice Gianni Celati nella sua prefazione, può essere definito un classico moderno, maestro di uno stile satirico che spesso induce apertamente al riso, Flann O'Brien ci offre con questo "La miseria in bocca" un piccolo capolavoro di comicità. 
L'intenzione è una critica a quel movimento del Gaelical Revival, o rinascita gaelica, che propagandava un'immagine convenzionale della vita in certe zone dell'Irlanda, note come Gaeltacht, un'immagine fatta di stereotipi, in cui andavano perduti la sostanza e gli umori di una cultura che, per quanto emarginata, era tuttavia radicata in una tradizione popolare antichissima. Ma a questa chiave di lettura, più dotta, se ne contrappone un'altra, più diretta e immediata, fondata su una scrittura che affascina per la sua connotazione fantastica, sulle invenzioni irresistibili con cui l'autore sviluppa la sua tesi. Attraverso il racconto di Bonaparte O'Coonassa, che rifà la storia della sua vita, incontriamo gli abitanti di Corkadoragha e seguiamo il protagonista in una lunga serie di disavventure che si svolgono in questo mondo e in un altro, quello sotterraneo o sottomarino di molte fiabe gaeliche, in una serie di episodi in cui squallore e miseria vengono filtrati attraverso una vena di grande, assoluta comicità.
In questa fusione di possibile e impossibile, di reale e ultraterreno, narrata con un linguaggio di cui, anche nella traduzione, si è cercato di conservare il fondo sonoro e gli echi cantati dal gaelico, "La miseria in bocca" rimane un testo unico e indimenticabile.

 

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