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“Critica della retorica democratica” è un libro del 2002 del saggista Luciano Canfora. Il titolo già di suo dice molto. Il volume mette a nudo tutti i limiti della democrazia. Lo fa in modo dettagliato andando a scovare episodi, forse dimenticati dalla maggior parte di noi, che aiutano a capire i meccanismi decisionali dei governi del nostro comodo Occidente.

Si parte da Socrate, non poteva essere altrimenti. Più precisamente si parte dal processo che ha subìto Socrate. L’accusa è di «empietà», il processo è «politico». Vengono estratti a sorte 500 cittadini che devono giudicare se il filosofo è o meno «un disturbante critico del sistema politico vigente e, insieme un empio negatore degli dèi e dunque delle basi etiche su cui poggiava la vita della comunità».

 

Socrate, uno dei più importanti filosofi dell'occidente, una colonna portante del nostro sapere, subisce un processo e il verdetto è affidato a una giuria, il verdetto è democratico. Luciano Canfora si e ci pone la domanda «può la maggioranza avere torto?». Domanda retorica. 280 giurati si esprimono a favore della condanna e 220 per l’assoluzione. La maggioranza quando viene chiamata a esprimersi su cose che non sa, o che non sa a sufficienza, fa danni da anni, da tanti anni, per tanti anni.
 
In discussione non è il concetto di maggioranza ma il processo infido che forma le maggioranze. Eguaglianza e competenza dovrebbero viaggiare di pari passo.
Le odierne democrazie sono intrise di dabbenaggine delle masse votanti, di oligarchie ed élite furbe e arraffone che mettono sempre sotto scacco il concetto di rappresentanza. Il populismo non nasce per caso.
Siamo vittime del «fondamentalismo democratico» che ci rende intolleranti verso ogni altra forma di organizzazione politica al di fuori del «parlamentarismo». Subiamo lo scempio del voto mercanteggiato. In democrazia il potere dovrebbe essere esercitato dal popolo, tramite rappresentanti liberamente eletti, viene in realtà gestito dal miglior offerente. E poi c’è da dire che il sistema parlamentare «non è adatto indiscriminatamente ad innestarsi in qualunque civiltà e su qualunque terreno».
 
Quando si parla di democrazia subito il discorso scivola all’America che addirittura ha la pretesa di volerla esportare fabbricando vincitori in tutte le parti della terra. Ma ci crede ancora qualcuno che le elezioni presidenziali americane sono una «procedura democratica»? Anche l’araldo più in vista dell’americanismo sa che mente quando dice che l’America è il paese delle libertà. «Il vincitore rappresenta una modesta minoranza del corpo civico».
Canfora si chiede perché nei paesi ricchi le sinistre perdono. Si dà una risposta. Semplice. Perché tutti adorano «i valori, i comportamenti e i modelli rappresentati dai detentori della ricchezza. Non è senza motivo che, di norma, i grandi veicoli di informazione, i giornali popolari e non, Tv, ecc. raccontino esclusivamente la vita, anche privata, dei potenti».
 
Mostrando le sue crepe la democrazia apre il fianco a tentazioni autoritarie e affini. Il governo di tecnici e di arbitri non controllati è il ricorso sempre più frequente per far fronte alle crisi. Tale soluzione non tiene conto dell’inquinamento e della corruzione che proviene dai poteri che non hanno limiti e confini. «Le decisioni cruciali sulla politica economica promanano da organismi tecnici e dal potere finanziario, mentre i parlamentari si accapigliano sulla fecondazione assistita».
Il punto centrale del nostro tempo è che i governi, dalle maggioranze così e così, sono scivolati nelle mani pelose degli esperti monetari delle banche centrali. Dalle urne al mercato. Dalla padella alla brace. Chi sorveglia i custodi del potere?
 
La democrazia liberale è chiamata a legittimare le élite e le lobby che sono i veri manovratori della cosa pubblica.
Le rivoluzioni dell’Ottocento e del Novecento hanno cercato di scardinare la malafede dei governi al servizio dei più forti. Le oligarchie, appena l’impulso etico si affievolisce, alla fine vincono sempre.
«I nuovi regimi che si denominano popolari non sono che oligarchie, con un piccolo gruppo di privilegiati che sfruttano le masse. Questa nuova classe, però, è sterile, non rende alla società servizi proporzionali ai privilegi di cui gode». L’Europa dell’Est ne sa qualcosa. «Il ripristino (o la instaurazione) di regimi “democratici” diretti da oligarchie liberali, nell’Est Europa, ha avuto effetti molto più gravi di una guerra perduta. Il prezzo è stato la perdita di garanzie esistenziali fondamentali».
 
Il Novecento è stato un crescendo di scomposizione della sovranità. Chierici del mondo mercantile super masterizzati, impomatati e addestrati sin dalla culla a gestire decisioni vitali della cosa pubblica sono cresciuti come funghi. Privati foraggiati dal Pubblico.
 
Le crepe della democrazia vanno accomodate in modo da non essere l’occasione per l’apertura a voragini autoritarie. Il libro aiuta in questo a prenderne coscienza.
«In questo gigantesco e armonico talk show, di sapore panglossiano, non sembra trovare posto la smisurata infelicità della condizione umana gravante sulla gran parte del pianeta. La politologia auto-soddisfatta del «sistema misto» è cieca di fronte alla realtà effettiva del pianeta. È autotelica, discende dagli ovattati uffici tecnici delle Istituzioni Comunitarie, e oltre quella siepe non riesce a immaginare l'infinito».
 

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