TRINITAPOLI - Chi è Giuseppe Beltotto, detto Peppino? Nato a Trinitapoli nel 1941, a 20 anni, dopo il diploma di Perito Industriale, va a Milano a lavorare nel settore metalmeccanico dell’ENI. Torna in Puglia dopo due anni e diventa capo reparto nello stabilimento Pignone Sud (gruppo ENI) di Bari.
Nel 1985 ritorna a Milano e poi a Verona dove viene nominato Responsabile Vendite nel campo idrotermosanitario, incarico che svolgerà anche al suo ritorno a Trinitapoli sino al 2015.
Il lavoro non gli ha impedito di praticare sport, di viaggiare, di coltivare la passione per la fotografia, di organizzare una miriade di mostre e di iniziative socio-culturali. Ingrandimenti di sue foto, scattate nel mondo, sono affisse in maniera definitiva nelle scuole di Trinitapoli. È coniugato ed ha due figli.
A 20 anni hai lasciato il tuo paese. Il termine “emigrante” non racchiude tutta la tua vita lavorativa perché sei partito, tornato, ripartito e poi tornato ancora. Un cultore delle tradizioni “casaline” come te, come ha fatto a resistere tanti anni lontano dalla sua Trinitapoli?
R.: Ho un carattere socievole, mi piace stare in mezzo alla gente e dovunque sia andato, o per lavoro o per altro, mi sono subito inserito senza alcun problema. Ho fatto sempre tante amicizie e sia colleghi che stretti collaboratori mi hanno voluto molto bene superando la differenza tra terroni e… polentoni. Ho sempre covato in me, però, il desiderio di tornare al paesello per tutto ciò che “u Casoil” ha rappresentato nella mia vita. Come emigrante non sono mai riuscito, ad esempio, a dimenticare il dialetto. Anzi, a Milano, io e mio fratello ci imponemmo di parlare fra noi in dialetto anche in ufficio. Così, come segno di riconoscimento.
Hai scritto una data precisa come inizio della tua passione per la fotografia. Nel 1965 chi ha messo nelle tue mani una macchina fotografica e quale evento ti ha spinto ad usarla con tanta professionalità?
R.: I miei collaboratori di Bari nel 1965 mi hanno regalato una macchina fotografica Voigtlander, che conservo ancora gelosamente. All’inizio fotografavo angoli di Bari vecchia, i centri storici della provincia, gli alberi di ulivo piegati dal maestrale sul litorale adriatico. Il mio maestro di fotografia è stato Angelo Saponaro, un fotografo affermato che aveva un negozio dove portavo i miei rullini di foto. Negli anni ’80 sono iniziati i miei viaggi intorno al mondo e da allora non ho fatto altro che catturare immagini per stamparle, guardarle, conservarle per poi rivederle a distanza di anni e rivivere le emozioni provate, rivedere i luoghi visitati, le persone incontrate, i loro volti, i loro sguardi. La pellicola conserva sentimenti. Il famoso fotografo Henry Cartier Bresson diceva che “fotografare è riconoscere nello stesso istante ed in una frazione di secondo, un evento, uno sguardo e porre nella stessa linea la mente, gli occhi, ed il cuore. È un modo di vedere”.
Il mio amico scrittore Tommy Di Bari mi ripete spesso “Nemo die sine linea”, una massima di Plinio il Vecchio che ha adattato a me traducendola “Non c’è giorno che io non scatti una foto”!
Hai girato mezzo mondo. Quale nazione ti è restata maggiormente nel cuore? Hai qualche avventura particolare da raccontare a noi “indigeni”?
R.: Sino ad oggi ho fatto circa una cinquantina di viaggi: una decina in Africa e America, poi Nuova Zelanda ed India. Un conteggio di massima mi dice di aver percorso circa 500.000 km in aereo, 50.000 in auto/jeep, 2.500 miglia in mare e 9.000 km in treno durante la traversata transmongolica da Mosca a Pechino, dalla Russia alla Cina. Non c’è un viaggio più bello ed interessante. A questa domanda rispondo sempre “quello che verrà”. Avventure me ne sono capitate tante, ad esempio in Nepal, dove per una frana ci siamo fermati in un piccolo alberghetto di campagna.
Il titolare per fare cosa gradita ci ha voluto ospitare a casa sua (una capanna) dall’altra parte del fiume, dove ci ha condotti con un particolare mezzo di trasporto: una cassetta di legno per la frutta, appesa ad una carrucola su un filo di acciaio, circa 50 metri di traversata con il fiume sottostante, uno alla volta con lui insieme. All’arrivo apprezzammo molto, con un sospiro di sollievo, la fumante tazza di the che ci offrì! Un altro episodio particolare è successo nel 2000 in Botswana. In volo, su un deltaplano a motore (una sorta di grande aquilone su un motoscooter), il pilota davanti ed io dietro, volavamo con una macchina fotografica posizionata alla punta dell’ala che scattava foto ogni volta che il velivolo si piegava. Mi accorgevo che salivamo molto dagli alberi che diventavano sempre più piccoli e dagli elefanti che sembravano cagnolini. Si volava verso le cascate di Victoria falls. Conservo quelle foto come delle reliquie!
So che hai avuto un grande compagno di viaggio. Come hai fatto a convincere una persona “stanziale” come il poeta Peppino Lupo a prendere aerei, treni, autobus e cammelli ed inoltre a dormire sotto le tende e a bere carcadè?
R.: Tornato a Trinitapoli dopo il mio peregrinare per l’Italia, ci siamo incontrati quando stava pubblicando il VANGELO tradotto in dialetto. Aveva già lasciato la caccia (una delle sue tante attività) e la pesca la faceva ormai da terra e non più in barca. Lo convinsi a comprare una macchina fotografica e ad esercitarsi a scattare foto nella zona umida ai fenicotteri, i suoi modelli preferiti, dei quali ci ha lasciato delle immagini bellissime ed indimenticabili. Alcune sono state pubblicate su riviste specializzate. Si entusiasmò al punto che comprò poi un “Go-Pro”. All’alba, con la sua auto, la musica ad alto volume, riprendeva le strade di Trinitapoli e pubblicava i filmati su Facebook. Dagli emigranti “casalini” del Nord Italia arrivarono migliaia di “like”! Abbiamo fatto insieme prima tanti viaggi in Italia e poi, quando incominciò a prenderci gusto, gli proposi di andare in Turchia. Dopo il primo viaggio all’estero, non si è fermato più. Con me si sentiva sicuro, ordinava da mangiare quello che sceglievo io ed in ogni paese dove andavamo voleva provare sempre tutto, dall’andare sui cammelli a fumare alla turca, dalle foto ai luoghi visitati sino a quelle scattate ai bambini scalzi in Africa.
Conoscendo la tua natura iperattiva, evito di chiederti quali sono “i tuoi progetti per il futuro”. Rischio di scrivere un “Manuale” di attività per i diversamente giovani. Mi limito, pertanto, a farti una domanda specifica: che cosa stai programmando per l’estate 2019?
R.: Il testo della canzone “My way” l’ho fatto mio. “Ho vissuto una vita piena, ho viaggiato su tutte le strade, ma più, molto di più di questo l’ho fatto alla mia maniera. Ho visto tutto senza risparmiarmi… ho programmato ogni percorso, ogni passo alla mia maniera”. Continuerò alla mia maniera: viaggi in agosto in Uzbekistan o forse in Alaska. Poi in Oman. E nel 2020 chissà dove.
Il 17 e 18 maggio prossimo sarò a Terlizzi per una mostra fotografica sulla Puglia nell’ambito di Apulia Web Fest, in luglio a Trinitapoli per LIBERARTE e soprattutto non mi muoverò da Trinitapoli sino al 10 agosto, data prevista per l’iniziativa “Poesia e musica sotto le stelle” che avrà luogo sul sagrato della Parrocchia della Madonna di Loreto. La serata è dedicata al mio amico e poeta scomparso Peppino Lupo ed è organizzata da me e da altri suoi intimi amici per ricordarlo degnamente.
Alcune sue poesie le ho fatte musicare da un musicista polistrumentale e saranno proposte al pubblico da un complesso musicale insieme a “cantori” dialettali che reciteranno le sue liriche più belle e popolari. C’è anche l’idea di promuovere un concorso di poesia dialettale intestato a Peppino Lupo.
Tutto quello che faccio non riesce ad appagarmi completamente. Vado a letto la sera sperando di trovare per il giorno dopo tante altre attività più interessanti da organizzare. Il mio medico e amico Alberto Fiore mi ha diagnosticato: “Afflitto da Ipertrofia dell’io a sfondo narcisistico”. Ha indovinato!
ANTONIETTA D’INTRONO
Via: corriereofanto