Quando io nascevo, Herbert Marcuse pubblicava “L’uomo a una dimensione”. Non penso lo abbia scritto per me. Voleva semplicemente mettermi in guardia. Voleva dirmi cosa mi aspettava. Marcuse è stato un punto di riferimento per diverse generazioni. “L’uomo a una dimensione” è un libro così lungimirante che, per molti aspetti, è ancora attuale.
L’incipit già ti scoraggia a venire al mondo. «Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno di progresso tecnico».
La paura di una catastrofe sempre presente nella nostra società ci tiene sempre in riga. Viviamo sull’orlo della rovina. Siamo in pace ma costruiamo la guerra. Siamo professionisti dello spreco. Ci difendiamo da tutto e da tutti e diventiamo aggressori. «Il dominio dell’uomo sull’uomo rimane il continuum storico».
Più l’emergenza viene sbandierata e la «società industriale avanzata diventa più ricca, più grande e migliore a mano a mano che perpetua il pericolo».
Per gli aggressori la vita in difesa è più comoda. Fingono di proteggere il loro recinto, ma in effetti giocano sempre d’attacco. Mirano all’erba del vicino. Chi spara per primo spara due volte. L’uomo col fucile domina i deboli e la natura. L’uomo a una dimensione è tutt’uno col suo dominatore. «I bisogni politici della società diventano bisogni e aspirazioni individuali, la loro soddisfazione favorisce lo sviluppo degli affari e del bene comune, e ambedue appaiono come la personificazione stessa della ragione».
I mass media più o meno fanno da cassa di risonanza del potere finanziario.
È una società irrazionale fondata sulla repressione. «La sua produttività tende a distruggere il libero sviluppo di facoltà e bisogni umani, la sua pace è mantenuta da una costante minaccia di guerra, la sua crescita si fonda sulla repressione delle possibilità più vere per rendere pacifica la lotta per l'esistenza - individuale, nazionale e internazionale».
Il cambiamento sociale è anestetizzato. L’uomo a una dimensione è integrato nel sistema di produzione e consumo che lo annienta. Falsi bisogni diventano trappole in cui accomodarsi. La società unidimensionale detta pensieri e comportamenti e ti convince che un altro modo per stare al mondo non è possibile. Produci e consuma, consuma e produci. Per non parlare della marea sterminata di umanità infelice che non produce e non consuma.
«L’integrazione degli opposti» rende vano ogni tentativo di cambiamento. Il mondo degli affari e i sindacati sono, quasi sempre, conniventi. Amen. Cosa resta da fare?
Mantenere vivo il «grande rifiuto». L’unica resistenza ancora possibile è il «pensiero negativo», la capacità di essere critici verso il sistema egemone e totalitario.
«In questa società l'apparato produttivo tende a diventare totalitario nella misura in cui determina non soltanto le occupazioni, le abilità e gli atteggiamenti socialmente richiesti, ma anche i bisogni e le aspirazioni individuali. In tal modo esso dissolve l'opposizione tra esistenza privata ed esistenza pubblica, tra i bisogni individuali e quelli sociali. La tecnologia serve per istituire nuove forme di controllo sociale e di coesione sociale, più efficaci e più piacevoli. La tendenza totalitaria di questi controlli sembra affermarsi in un altro senso ancora - diffondendosi nelle aree meno sviluppate e persino nelle aree preindustriali del mondo, creando aspetti simili nello sviluppo del capitalismo e del comunismo».
È solo l’introduzione del libro e può bastare per capire da che parte stare. Io l’ho subito capito che l’arte, la finzione, sono la dimensione giusta da frequentare. Vanagloria, civetteria. Chissà.
«Il regno dell'irrazionale diventa la sede di ciò che è realmente razionale - delle idee che possono “promuovere l'arte di vivere”. Se la società stabilita governa ogni comunicazione normale, convalidandola o invalidandola a seconda delle esigenze sociali, allora può essere che i valori estranei a tali esigenze non abbiano altro mezzo di comunicazione che quello anormale della finzione artistica. La dimensione estetica serba ancora una libertà di espressione che mette in grado lo scrittore e l'artista di chiamare uomini e cose con il loro nome - di nominare ciò che è altrimenti innominabile».
Per sfuggire all’uomo a una dimensione tutto casa e produzione, occorre scoprire e imparare ad abitare nuove dimensioni.
“L’uomo a una dimensione” è uno di quei libri che mi stanno sempre vicino. Una specie di bibbia che non promette un aldilà migliore, ma suggerisce come migliorare l’aldiquà.
Leo Tenneriello