Aveva perso due figlie durante l’epidemia di Spagnola. Angelina Cifarelli era la fornaia più brava del paese e sfornava ogni giorno “panette” profumate con storie, storielle e canzoni che dedicava ai suoi clienti.
Poi arrivò la guerra e dovette chiudere il forno perché non si trovava più farina per fare il pane. Il marito al fronte e 6 figli da sfamare non le consentirono di piegare le braccia. Da mattina a sera camminava in campagna per raccogliere verdure spontanee e qualche oliva, mandorle e noci che aveva la fortuna di trovare. Dopo la mietitura, Angelina arrivava all’alba nei campi dove avevano bruciato le stoppie. La terra appariva nera e desolata. Ma sapeva bene che sotto quella distruzione c’erano ad attenderla intere spighe bruciacchiate di grano che si erano salvate dalla furia dell’incendio. Le coglieva ad una ad una, ne estraeva i chicchi che diventavano poi farina di grano arso da trasformare in pasta e pane per i suoi figli.
Per tutto il resto della sua lunga ed operosa vita, Angelina è riuscita a scorgere segnali di speranza in ogni bufera dell’esistenza, sicura di ritrovare sempre quei chicchi che l’avevano salvata dalla fame.
Non sapeva scrivere bene, riusciva però a far di conto con una velocità impressionante. Sembrava che avesse nel cervello una calcolatrice. Era anche riuscita a disseminare una antologia di racconti che le sue giovani amiche avevano raccolto in un quadernetto divenuto, dopo la sua morte, una sorta di vademecum per ogni rimedio o problema.
Rimane di lei il ricordo di una lezione magistrale tenuta in un incontro in una scuola elementare con i bambini e con i loro nonni in una mattinata invernale fredda e con il cielo gonfio di nuvole.
Angelina, dopo aver guardato il suo pubblico di facce silenziosamente ben disposte ad ascoltare le storie nostalgiche di un tempo che fu, gridando esordì con una frase inaspettata: “dovete andare a raccogliere i chicchi di grano, se volete combattere la malannata! È tutto qui il senso della vita”.
Poi spiegò che i chicchi di grano non solo l’avevano salvata dalla fame ma le avevano fatto capire che doveva sforzarsi di trovare sempre, dopo una disgrazia, un piccolo segno di speranza, un chicco, anche in un campo completamente distrutto dal fuoco.
Lasciò tutti senza parole e terminò la sua prolusione dettando le sue ricette di felicità: “non rinunciate alle vostre risate terapeutiche. Prendete appunti ogni giorno su quanto vi succede di bello, non trascurate le piccole cose che vi mettono allegria. Sedetevi 10 minuti, da sole in cucina, per bere un caffè con una fetta di pane e marmellata, fatevi una chiacchierata con il vostro cane, passeggiate al tramonto, d’autunno, in un viale alberato pieno di foglie secche, fate una dichiarazione d’amore al vostro compagno di vita per controllare se vi considera già demente, sedetevi fuori d’estate, con gli amici, al chiaro di luna a raccontare storie e barzellette, aspettate tutti la befana, Babbo Natale, perché esistono e per tutti c’è un dono che la vita vi regala. Dovete solo trovarlo. Se questo vi sembra poco, allora non avete capito proprio niente della vita”.
ANTONIETTA D’INTRONO
Via: Corriereofanto