Ci sono delle storie d’amore che vanno oltre i confini del tempo e delle leggi imposte dalla cultura delle epoche più omofobe. Si ricordi soltanto il drammatico destino dei più grandi poeti e scrittori omosessuali come Paul Verlaine, Arthur Rimbaud, Oscar Wilde, Virginia Woolf e Pier Paolo Pasolini che hanno dovuto amare clandestinamente i loro partner terminando la loro esistenza in carcere o soffrendo e subendo le reazioni violente di una società intollerante e bacchettona. Antonio, 42 anni, una laurea in pittura conseguita presso l’Accademia di Belle Arti, dirige due negozi di alta moda nel Salento e nel tempo libero scrive, dipinge e ama il suo compagno di vita, Daniele, e i suoi “figlietti”, Pei e Cuco, due gioie di cani che la vita ha fatto loro incontrare.
Antonio, per gli amici Dudù, è vissuto per qualche anno a Trinitapoli dove molti hanno potuto apprezzare non solo la sua creatività con i pennelli ma anche la liricità e la purezza dei suoi pensieri raccolti in articoli e ricerche del Centro di Lettura Globeglotter.
Di recente gli ho chiesto di darmi qualche dettaglio sui suoi cani per elaborare una storia da pubblicare in questa rubrica. Mi ha inviato, insieme alle foto, un suo scritto del quale non ho voluto cambiare neanche una sillaba perché avrei rischiato di offuscare la luce di un grande amore.
“La felicità va sempre condivisa.
Era così tanta che avevamo bisogno di riversarla anche altrove.
Non sapevamo ancora che l’avremmo moltiplicata. Avevamo solo bisogno di rumore.
Non avevo mai avuto un cane. Sono nato gattaro. Generazioni di gatti: madri e figli che rimescolavano il loro sangue ciclicamente.
Poi è arrivato Pei ad aprile, quattro anni fa. Veniva da un’associazione dove facevano “pet therapy” con i ragazzi disabili. Sua madre si chiamava Scotta, come la manovra che si fa per orientare le vele di una barca. Spesso la portavano al largo, in barca, a fare lunghe traversate.
Il mare nel suo flusso c’era già. La prima volta che lo abbiamo visto aveva l’alta marea negli occhi.
Ce lo siamo portati a casa dopo pochi giorni.
Cuco è arrivato un anno dopo, in piena pandemia. Una foto su un social e già era nostro. Il primo anno ha fatto pipì ovunque, distrutto piante, divani, morso chiunque. È nato per comandare. Lo abbiamo lasciato fare. Ora è impastato di dolcezza.
Forse, senza saperlo, hanno fatto giri enormi nella storia per ritrovarsi fratelli nella nostra casa. Io e il mio compagno siamo stati la culla del loro mondo emerso. Ci unisce il mare, la sabbia umida, i bastoncini di legno, l’acqua salata.
La cosa più bella è ritrovarli al mattino, quando ancora il sonno li sigilla altrove, con i dentini che si intravedono, le orecchie abbassate. In quel momento non esiste nulla, nessun pericolo, ma solo il calore di una pace ritrovata negli abbracci che ci scambiamo.
Noi siamo chi cercano, chi vogliono accanto durante la notte. La fiducia ha la forma del loro corpo abbandonato sotto le coperte quando cala l’attenzione per il mondo esterno. Perché l’unico mondo di cui hanno bisogno, nonostante le innumerevoli differenze, i linguaggi distanti, i ritmi diversi, siamo noi.
Qualcuno con cui vivere e correre”.
Dietro un cane c’è il profumo di famiglia, cioè di quell’insieme di “esseri” che amano e che sono amati. I doppi babbi? Le doppie mamme? Mah, sono solo problemi di umani incapaci di amare.
ANTONIETTA D’INTRONO
Via:Corriereofanto