Lei si sentiva bella. Lui la notò a un ristorante. Non la trovò particolarmente attraente, ma semplicemente intrigante per la sua ostentata aria da vamp. Era accompagnata dal marito bruttino, trasandato e un po’ corpulento.
Era il tipico uomo colpevole di aver incontrato la donna sbagliata con la quale passare più tempo degli altri uomini. Lei era molto curata. Uno scambio di sguardi e si capì subito che c’era sintonia tra i due.
Assecondando il suo bisogno e il suo intento di essere un amante seriale, tenendo così a bada e ben sedate le sue velleità intellettuali, Lui vide in Lei un’altra pratica da sbrigare, un compito da portare a termine sul quale, a fine avventura, avrebbe apposto il timbro di fine lavori. L’amore è un hobby a tempo pieno.
Cercò in tutti i modi di avvicinarla per chiederle il numero di cellulare. Ci riuscì, con una banalissima scusa, incrociandola nella toilette. Il giorno dopò le telefonò. Le chiese la possibilità di vederla. Lei accettò. S’incontrarono in un caffè letterario. Scambiarono le parole iniziali consuete, giusto per entrare di più nel merito della comune conoscenza.
Lui era bravo ad ascoltare. Lei non aspettava altro che incontrare uno così. Si lasciò andare. Un fiume di parole in piena. Uno sfogo continuo circa la sua infelicità coniugale ed esistenziale. Avrebbe tanto voluto lavorare, ma non c’era riuscita: era solo una casalinga. Aveva cultura e sensibilità da vendere che all’interno del suo entourage familiare non riusciva a esprimere.
Aveva la passione per i libri. Leggeva a più non posso. Come se la lettura la tenesse ancorata al suo “voler essere” e lontana dai suoi “dover essere”. Forse così, inconsciamente, si discolpava delle sue debolezze nella gara incessante fra colpa e pentimento.
Ogni tanto naufragava in qualche scappatella. Era il suo modo per chiedere alla vita un risarcimento a rate. La sua coscienza ogni tanto glielo concedeva per poi rinfacciarglielo sarcasticamente. Sperava ancora di incontrare il grande amore. Era come cercare una pelliccia di ermellino al mercato delle pulci.
Fra Lei e Lui era già magia: una parola tirava l’altra e la naturale conseguenza sarebbe stata l’approccio carnale. Amore e parole avevano la stessa sostanza. L’inebriamento insaziabile dell’una inseguiva l’altro. Un piccolo sfioramento fortuito tra le loro mani fu il segnale che tutto era pronto.
Lasciarono il locale e cominciarono il tour del desiderio in auto. Nella ricerca del posto garbato e appartato per fermarsi continuavano a interrogarsi su come la vita prima o poi si sarebbe potuta mettere per il verso giusto. Dalla strada, costeggiando il mare, intravidero una piccola masseria disabitata e in buono stato, leggermente defilata.
Si avvicinarono, perlustrarono e decisero di fermarsi. Era il posto ideale: il mare in lontananza e la campagna intorno, un grande recinto e un lungo viale circondato da alti pini e dalla vegetazione spontanea. Tutto stava andando come doveva andare.
Stavano entrambi per rifare il medesimo errore di sempre, come se stessero per inciampare nello stesso gradino di precedenti cadute, facendo poco o nulla per evitarlo. Il peccato non pensa. Non volevano mai salvarsi da quella dolce disperazione.
Era sbalorditivo come si somigliassero e come avessero già fiducia l’uno dell’altra. Lui, come da vademecum dei grandi conquistatori, le puntò la mano sul petto e, fermandosi un attimo prima di toccarle il seno, come se volesse raccogliere dell’aria tra le sue dita, le disse: “ho raccolto tutte le sensazioni negative dal tuo cuore e adesso le soffierò via dal finestrino”. Al diavolo i doveri e furono di colpo a distanza zero con tutto quello che ne sarebbe derivato.
La lussuria era azionata. Si confondevano esaltazione e gocce di pianto, cruda spigliatezza e scomodo tormento, smania sfrenata e malessere in agguato.
Lei era il ninnolo col quale aveva già giocato nei precedenti sogni, il fantoccio coprotagonista di altri episodi simili. Ma appena realizzarono che stavano inscenando questa recita, seppur involontaria, come un riflesso condizionato, avviarono, lentamente e con nonchalance, l’allontanamento dei corpi. Dopo l’apice, l’incantesimo andava scemando. Tutto si stava disincarnando. Ora bisognava smaltire la sbornia. Tra di loro piombò così un indefinibile silenzio, il silenzio di se stessi e del rumore delle cose che nel profondo mancavano. Tutto si stava consumando come le precedenti vicende. Ancora una volta non avevano capito da cosa scaturisse l’amore; avevano beneficiato, seppur brevemente, della fortuita euforia dei suoi effetti, ma delle sue cause nessuna traccia. I due colombi ora dovevano tornare al loro nido ufficiale. Non sapevano come congedarsi al meglio. Quella breve relazione non volevano farla sembrare una banalissima e volgare avventura. Qualcosa del tipo “due cuori e una capanna” dovevano lasciarlo trapelare nel loro saluto. Nessuna fuga, nessun micro-abbandono o micro-lutto, ma qualche strascico, seppur ipocrita, di eternità dovevano portarlo a casa.
Allora alzarono il volume dell’autoradio e ascoltarono con più coinvolgimento la musica che da sottofondo divenne protagonista. Si alternavano alla radio canzoni che non avevano nessun punto di vista sul nulla che cantavano, non avevano prospettive. Lui non ne sopportava i testi e per questo cambiava freneticamente stazione. Erano canzoni di basse ambizioni, non riuscivano ad andare al di là del banale, seppur impegnato, che cinguettavano. Come se cantassero i ragazzi della porta accanto. Lui aveva l’impressione che per quei cantanti non ci fosse differenza fra cantare o pitturare un cancello la domenica mattina. Non c’era arte, ma bricolage. Il caso e il talento li avevano portati a coltivare quel passatempo chiamato musica.
A un tratto, si soffermò, pressato da Lei, su una cantante ritenuta grande ma che per Lui rappresentava invece il declino artistico e la deriva culturale di massa di quel periodo. Lei si lasciò andare a banali giudizi e apprezzamenti. Quando utilizzò l’aggettivo “sublime”, Lui fu decisamente convinto che Lei non avrebbe mai potuto essere la sua donna. Voleva disfarsene come un ombrello vecchio.
Per Lui quella cantante era come avere la casa al mare che sta lì e ogni tanto si va, per distrarsi, per rilassarsi, un rifugio consolatorio che ci fa stare bene, ma niente di più. Lui almeno dall’arte pretendeva decisamente qualcosa di più. La accompagnò a velocità sostenuta quasi sotto casa. La salutò velocemente: “è tardissimo, devo scappare, ci sentiamo presto!” Al suo saluto non aspettò la replica di Lei e sgommò via verso casa, felice dell’avventura e specialmente della sua fine.