I Nani di Mantova

(160 voti, media 4.47 di 5) Finale vincitore!

E così, uno ad uno, tutti i nani furono acciuffati e chiusi sotto chiave in quella che era la loro residenza ducale e che ora aveva preso tutto l’aspetto di una prigione, con tanto di sbarre e serrature a cento mandate. Nei giorni successivi tutti i nani furono presi dallo sconforto e dal pessimismo, si erano convinti che mai e poi mai avrebbero rivisto il mondo esterno che così bene li aveva accolti.

Dopo una settimana una guardia chiamò Fagiolino: “Vieni. Rigoletto ti vuol parlare”. Una volta arrivato al suo cospetto Fagiolino si accorse di quanto fosse invecchiato il buffone di corte: la sua faccia era diventata ancora più rugosa, la sua gobba sembrava voler toccare a tutti i costi il soffitto.
“Fagiolino prendi questi fogli, portali ai tuoi colleghi nani e mandateli a ME-MO-RIA. Il Duca mi ha ordinato di istruirvi per un nuovo spettacolo e vuole ridere di voi come non mai. Dopo l’ira che avete destato in lui con la vostra fuga, questa è davvero l’ultima occasione che avete per guadagnarvi un briciolo di libertà. Assicurati che ognuno impari la propria parte alla perfezione o per voi
sarà la fine”. Fagiolino senza aggiungere altro tornò dai suoi fratelli e riferì quello che Rigoletto gli aveva ordinato. Al termine del resoconto aprirono i fogli e rimasero sorpresi dal loro contenuto: lo spettacolo impiegava ognuno di loro per il mestiere che aveva imparato durante la libertà. Allora era stato Rigoletto ad averli seguiti e spiati tutto il tempo? C’era poco tempo da perdere in congetture ed ipotesi.
C’era, invece, da imparare tutti i passi di danza, le filastrocche e gli incastri dei ruoli e c’erano solo sette giorni! I nani, nessuno escluso, si impegnarono più che mai, anche perché con il passare del tempo s’innamorarono sempre più di quella storia da portare in scena. Lo spettacolo era così suddiviso: per ogni giorno della settimana una nano, a turno, aveva la parte principale e cantava del suo mestiere, mentre gli altri danzavano attorno a lui mimando i gesti del lavoro. Il ritornello, visto che si parlava del lavoro, faceva pressappoco così: “Andiamo, andiamo, andiamo a lavorare..”. Ogni giorno un nano, per sette giorni: il titolo venne da se: “I SETTE NANI”. Di certo si sarebbe sentito parlare ancora per molto tempo di quella storia di nani inventata dal giullare, e non solo per la sua bellezza. Quando venne il giorno dello spettacolo ogni cosa andò alla perfezione. Era tutto un tripudio di colori, salti, capriole, canti e balli. Ogni rima era precisa come un pendolo, ogni giocoleria meritava un applauso ed ogni magia un sospiro colmo di stupore. Durante la messa in scena il Duca, la Duchessa e tutti i cortigiani si divertirono così tanto che non si accorsero di nulla. Non si accorsero, infatti, di
ciò che nascondeva il numero finale di ogni nano: questo numero consisteva nell’equilibrarsi, insieme ai nani ballerini, sul filo della canna da pesca del nano pescatore ed arrivare fin dove l’amo era agganciato: sul davanzale del finestrone.
Una volta arrivati lì si disponevano tutti in fila e dopo un bell’inchino, uno alla volta si buttavano di sotto. Le fragorose risate degli spettatori coprivano il tonfo che i nanetti facevano atterrando nella veste che Gilda teneva tesa per accogliere quegli esserini che accoglieva in grembo come pere mature.
Come se non bastassero le risate, a coprire il trucchetto c’era il rullo di tamburi che Rigoletto eseguiva ad ogni tuffo. L’ultimo rimasto era il nano pescatore che tenne per tutta la durata dello spettacolo la sua canna tesa per far camminare gli altri sul filo. Il suo fu il salto più spettacolare: una volta rimasto solo, fece un vistoso inchino verso i presenti, sbloccò la sicura della canna e strinse forte il manico che lo fece volare verso il finestrone e dopo un capriola in aria giù, sulla morbida gonnella di Gilda.
L’acrobazia fu un finale così spettacolare che anche il Duca ci mise un bel po’ a capire che i nani erano riusciti a sfuggirgli di nuovo, questa volta facendogliela proprio sotto il naso ducale. Cento e cent’anni dopo la definitiva conquista della libertà, questa storia era ancora la più richiesta dai piccoli nanetti che chiedevano in continuazione di sentirsela raccontare da Fragolino, il lontano discendente rossiccio di Fagiolino che, dopo essersi liberato, insieme a tutti gli altri costruì una taverna affinché anche i nani avessero un luogo per divertirsi e per ricordare il loro passato
attraverso le storie raccontate di padre in figlio. Su una parete della taverna c’era ancora affisso in bella mostra l’ultimo dei fogli che Rigoletto consegnò ai nani. Faceva più o meno così: “Rigoletto, l’essere imperfetto,
vi chiede scusa per quel che ha detto.
Io son solo e brutto in viso,
a tutti ispiro sempre gran sorriso.
Voi nanetti, invece, siete una famiglia,
a differenza  mia che ho la gobba come una conchiglia.
E per questo v’ho sempre invidiati,
negli anni derisi, delusi e ingannati.
Questa volta, per aver il vostro perdono
ho ingegnato di cuor mio questo dono:
un piano per la fuga dalla prigione,
con il caro saluto del vostro buffone.”

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