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Il dottor Lerivière annuiva, forse intravedeva una speranza. Volle portare Canivet nella stanza vicina per consultarsi privatamente con lui. Charles non li seguì. Era sconvolto, per quanto sforzasse la mente non riusciva a comprendere il folle gesto di sua moglie. Qualcosa di terribile doveva esserle successo, una malattia latente, forse un’angoscia inespressa. Desiderò svegliarsi, come da un incubo, e ritrovarsi accanto la sua bella moglie sorridente e in salute.
Chiuse gli occhi, stringendo forte le palpebre, li riaprì di colpo ma lo scenario non mutò. Emma trasaliva e gemeva, Charles, nel vederla, si sentiva mancare il respiro. Corse fuori dalla camera respirando a fatica. Lerivière e Canivet stavano scendendo le scale insieme ad Homais, discutevano di veleni ed avvelenamenti e il farmacista si pavoneggiava di fronte ai due dottori, esibendo tutte le sue nozioni sull’argomento. Charles restò immobile a guardate le loro schiene allontanarsi, senza avere ilcoraggio di richiamarli per essere aggiornato su quanto ancora sua moglie aveva da vivere.
Il sol pensiero lo mandò in asfissia, senza pensarci salì al granaio, si gettò a terra e singhiozzò disperato. Un filo di vento passò frusciando sul pavimento polveroso e una palla di carta rotolò fino a Charles, lui la raccolse e l’aprì. Le lettere scivolarono veloci sotto i suoi occhi “Coraggio Emma, coraggio. Io non voglio essere la rovina della sua esistenza” ripeté mentalmente, senza leggere. La conosceva a memoria, ogni parola, ogni virgola,il corso che la finta lacrima di Rodolphe segnava sul foglio. L’aveva letta milioni di volte e, allo stesso modo,
avrebbe potuto ripetere a mente ogni altra lettera che Rodolphe le aveva inviato e che lei teneva chiuse in una scatola, o quelle di Léon, ben nascoste nel secretaire. Ripensò ai giorni in cui non riusciva a dormire per il timore di perderla e usciva di casa prima del sorgere del sole perché restare lì al suo fianco e non sentirla sua gli era insopportabile. Allora scendeva in strada e restava nascosto nell’ombra, poco dopo anche lei usciva, diretta al suo amante e lui la seguiva, vigilando affinché non le accadesse niente, e attendeva nascosto che uscisse dal castello per tornare a casa. Gli tornarono in mene le parole appassionate che i due amanti si scambiavano nel giardino di casa sua, a notte fonda, quando lui, in piedi dietro una finestra, ascoltava piangendo. Poi la fuga di lui, la malattia di lei e la sua folle speranza di guarirla per legarla a sé. Con quanta tenerezza e devozione le era stato accanto, quanto di sé le aveva dato, quanto aveva taciuto. E lei l’aveva
ricompensato gettandosi tra le braccia di Léon. Quante altre lacrime aveva speso per quella nuova passione di sua moglie! Aveva desiderato essere un uomo forte per gridarle in faccia la sua indignazione ma, ancora una volta, il desiderio di amarla si era rivelato più forte della sua dignità. Aveva assecondato la sua voglia di musica ben sapendo che Emma a Rouen non incontrava nessun insegnante e non toccava
nessun pianoforte. Tuttavia aveva continuato a pagarle le lezioni ed era giunto addirittura a complimentarsi per i suoi progressi e tutto ciò solo per vederle splendere gli occhi. Aveva umiliato sé stesso e ancora lo avrebbe fatto se ciò significava vedere il bel volto di sua moglie splendere d’amore, un amore che, però, non era per lui.
Charles non bramava che la vecchiaia, pregava il sopraggiungere della senilità nell’ingenua speranza che, una volta sfiorita la bellezza di sua moglie, lei si accorgesse che tutto ciò che le rimaneva era un marito che nella vita le aveva dato tutto e allora, forse, lo avrebbe amato. Non avrebbe più visto la sua goffaggine ma la sua bontà. Aveva anche creato un fondo segreto, con parte dell’eredità di papà Bovary che Charles aveva nascosto a sua moglie per evitare che dissipasse anche quella. Si trattava di una somma considerevole che certamente avrebbe consentito loro di vivere una vecchiaia tranquilla, nonostante i continui indebitamenti di Emma. E allora forse lei gli avrebbe concesso un affetto dolce e puro. Ma Emma stava morendo, negandogli anche quel sogno.
Charles si rimise in piedi, si ricompose e ridiscese.
Nel suo letto, Emma era bianca come il lenzuolo che l’avvolgeva, respirava piano, sembrava tranquilla. Con lei non vi era altri che Felicité, tutta presa nel tenere a bada la piccola Berthe.
- Portala via! – disse Charles e la ragazza uscì correndo con la bambina in braccio, come se non aspettasse altro.
Ora lui ed Emma erano soli, lei socchiuse le palpebre, il suo sguardo era così triste, pareva si stesse scusando. Charles le accarezzò il volto
- Perché non hai voluto essere felice? – chiese in un sussurro
Lei mosse le labbra, come per voler rispondere, ma dalla sua bocca non uscì un suono. Allora Charles continuò
- Ti ho amata oltre misura, ti ho dato tutto ciò che volevi, sperando in un briciolo del tuo affetto e invece tu mi ricambi con la tua morte. Credi davvero che lo meriti?
Emma non rispose, restò immobile come una statua ma grossi lacrimosi le sgorgarono tra le palpebre. Charles sorrise benigno, si chinò su di lei e la baciò. Allora Emma cominciò a tremare e strabuzzare gli occhi, si agitava percorsa dagli spasmi. Charles si impietrì pensando d’essere stato lui a causarli, tentò di fermare i suoi tremiti bloccandola al letto, premendo il suo petto su quello di lei. Emma urlò dimenandosi. Charles non riusciva a sopportarlo, afferrò un cuscino e lo premette con forza sul viso di sua moglie, lei si agitò ancora di più poi, d’un tratto,
s’arrestò.
Per alcuni secondi Charles non fu in grado di muoversi, poi dalle scale giunse un rumore. Terrorizzato gettò via il cuscino rivelando il volto violaceo di Emma, nei suoi occhi spenti era ancora impressa la paura. Grandi lacrime corsero a bagnargli le gote mentre, con dita tremanti, abbassava le palpebre della donna che amava sull’amara vita che il destino le aveva serbato. Quando Charles si riebbe dal pianto si trovò circondato da un ricco gruppo di persone giunte, silenziose come le ombre, a vegliare il suo dolore. Dopo il funerale il dottore prese con sé la piccola Berthe e partì senza avvertire né salutare nessuno. Alcuni si convinsero che fossero andati a vivere da mamma Bovary, altri immaginarono che il povero Charles, impazzito di dolore, avesse lasciato il paese per vivere come un vagabondo. Nessuno ne seppe mai più nulla.