Madame Bovary

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Un urlo agghiacciante, simile a quello di un animale ferito a morte, lacerò all’improvviso l’insopportabile afa che opprimeva da qualche giorno l’intera regione. Di scatto papà Rouault, che stava strigliando i cavalli, si girò in direzione della camera di Emma: l’urlo proveniva da lì. Fece di corsa le scale (la gamba ormai era perfettamente guarita grazie al dottor Bovary), ed entrò nella stanza. Emma era seduta sul letto madida di sudore, con gli occhi sbarrati e fissi nel vuoto. I lunghi capelli neri, sciolti sulle spalle, le incorniciavano il viso cereo.

«Emma, Emma… Figlia mia cos’hai? Che ti è successo?». Sentendosi chiamare la ragazza sembrò ritrovare un po’ di colore e guardandolo gli buttò le braccia al collo. «Oh, padre… è stato… orribile!». Si prese il viso fra le mani ancora sconvolta. «Cosa, figlia mia, dimmi». Emma non riusciva a parlare: il ricordo dell’orrendo sogno che aveva fatto le impediva di aprir bocca. Pian piano, tirando dei lunghi respiri, raccontò dell’incubo. «Padre, ieri mi hai detto che il dottor Bovary ha chiesto la mia mano…». «È vero, cara, e sarei felice se tu acconsentissi. È un brav’uomo, ha un lavoro rispettabile e ti vuole davvero bene». «Oh no… no padre, non voglio». «Ma tesoro, ieri quando te ne ho parlato mi sembravi interessata». «È vero ma… stanotte…». E gli raccontò del brutto sogno, nel quale sposata con Bovary, aveva vissuto una vita matrimoniale grigia e deludente; l’uomo che aveva accettato come marito si era rivelato un essere incapace e privo di energia. Emma fra le lacrime continuava: «Nonostante la nascita di una figlia, Berta, ero infelice.

Mi trastullavo con mille capricci che non potevo permettermi e cercavo la passione fra le braccia di uomini menzogneri. Alla fine sola, disperata e sommersa dai debiti mi toglievo la vita». «Calmati adesso, tesoro mio… è stato un brutto sogno, è tutto finito ora». Dopo la morte della moglie, papà Rouault aveva cercato di educare la figlia nel miglior modo possibile; l’aveva mandata in collegio dove le suore le avevano dato un’istruzione adeguata. La ragazza era tornata a casa trasformata; la timida contadinella era diventata una signorina raffinata che mal si adattava alla vita agreste. Il padre pensava che un buon matrimonio le avrebbe offerto quegli agi a cui Emma aspirava. L’incontro fortuito con Charles Bovary gli era sembrata l’occasione giusta. Ma ora, vedere sua figlia singhiozzare in quel modo, gli aveva fatto cambiare idea. «Ascoltami, Emma, forse è stato un sogno premonitore quello che hai avuto o forse no. In ogni caso ti manderò a Parigi. Lì vive una lontana cugina della tua povera madre che ha bisogno di una dama di compagnia. La sua casa è ritrovo di intellettuali e artisti. Sono sicuro che frequentare gente colta gioverà alla tua mente e al tuo spirito». «Oh padre, dici davvero?». «Certo, figlia mia. Preferisco saperti felice anche se lontana da me e non insoddisfatta qui in campagna». Emma abbracciò il padre cancellando dalla mente l’incubo della notte passata. Una nuova vita quindi le si schiudeva. Una vita che le avrebbe offerto delle opportunità a cui anelava da molto, troppo tempo. Era giunto il momento di viverla.

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