Salviamo Said

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Al centro della terrazza, avevano legato Abdelkrim ad un palo arrugginito. Tarek e i suoi scagnozzi gli facevano delle domande riguardo alla valigia, ma lui non parlava. Mio fratello piangeva e Tarek diede ordine di pestarlo. Rimasi paralizzato di fronte a quella scena. All’inizio volevo scappare, ma poi pensai che volevo essere coraggioso come Antoine.

Mi sentii francese in quel momento; quando vidi che il naso di Abdelkrim sanguinava e lui piangeva più forte, non mi sentii né francese né algerino né di nessun’altra parte del mondo. Ero io, Said, e quello era mio fratello. Solo questo contava, perciò mi feci avanti e urlai di lasciarlo stare, come certi commissari della TV. Tarek mi guardò ridendo e mi ordinò di tornare dentro e farmi gli affari miei perché ero piccolo. “Sarò piccolo, ma ho più fegato di tutti voi, che siete in tanti contro di lui che è solo e legato!” ribattei, avvicinandomi al palo e slegando mio fratello, il quale mi guardava con gli occhi gonfi e stupiti, quasi come io avevo guardato quei fiori bianchi al museo. Finalmente mi considerava una cosa bella. Accorgendosi del pericolo, Abdelkrim mi prese per mano e mi portò via; Tarek disse ai suoi che un simile affronto andava risolto per conto proprio e ci inseguì col suo coltello in mano. Noi due avevamo entrambi molta paura, ma non volevamo allarmare nostro padre e neppure spaventare Mounin, perciò ci allontanammo dall’edificio, con nostro cugino alle costole. Ad un certo punto mio fratello rallentò; si stava sentendo male per le troppe botte prese e mi pregò di scappare, perché avrebbe sistemato tutto. Tarek ci aveva quasi raggiunti, ma io non potevo lasciare Abdelkrim da solo, non adesso che lo avevo finalmente ritrovato dopo tanto smarrimento. Nostro cugino mi spinse via e si rivolse a mio fratello: “L’hai fatta grossa, stavolta! Ma questo è il tuo ultimo errore, poi prenderò Said come tuo sostituto!” e fece per piantargli il coltello nello stomaco. Io mi frapposi cercando di fermarlo e provai un dolore intensissimo, così forte che non capivo da dove provenisse, mi faceva male dappertutto. Abdelkrim guardò Tarek con il fuoco negli occhi e gli diede una spinta così forte da farlo cadere a terra. Il nostro inseguitore batté la testa su un sasso e non si mosse più. Intanto a me iniziava a girare la testa e sentivo solo la voce come ovattata di Abdelkrim che chiamava a gran voce il mio nome, poi più niente. Mi risvegliai in ospedale. Attorno a me c’era tutta la mia famiglia unita, compresa Samira, Antoine, i miei professori e i miei compagni di classe. Tutti preoccupati per me. Ed io che credevo di essere invisibile, a scuola. Poi rimasi solo con mio fratello grande. Restammo un po’ a guardarci, in silenzio, dopodiché lui sussurrò commosso: “Non avresti dovuto farlo per uno come me!” Io gli sorrisi e risposi: “Ho fatto solo la cosa giusta. Non tutti i libri sono stupidaggini, sai?” Abdelkrim iniziò a piangere piano e a chiedermi scusa per tutte le cose che mi aveva detto e fatto e mi abbracciò con la stessa dolcezza di quando chiedeva i soldi alla mamma, soltanto più pura e sincera. Avrebbe dovuto scontare un po’ di galera, perché Tarek era rimasto ucciso, ma era stato solo per difendere sé stesso e me. Ebbene, nonostante la prigione, non si era mai sentito così libero. Ed io, nonostante la lontananza forzata, non lo avevo mai sentito vicino come allora. La maestra Nadine diceva sempre che le punizioni, le delusioni e gli eventi fanno crescere.

 

Crescere:il verbo indica, oltre all’accrescimento fisico della persona, il divenire adulto, cioè lo svilupparsi delle qualità psichiche, intellettuali e morali.

E noi due eravamo cresciuti.

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