Pinocchio
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“Com’ero buffo quand’ero un burattino! E come sono contento di essere diventato un ragazzino perbene!”
Erano trascorsi ormai diversi anni da quando Pinocchio aveva pronunciato quella frase. Credeva che da quel momento in poi tutto sarebbe stato perfetto. Ma la vita non è una favola. Geppetto era morto, lasciandolo solo. Che si tratti di gesso o roccia, di legno o carne, tutto va in malora. Pinocchio si recò alla spiaggia, dove, sopraffatto dalla nostalgia e dal dolore, salì sulla scogliera per gettarsi in mare. Senza Geppetto, la sua esistenza non sarebbe valsa più a nulla.

Avrebbe dato qualunque cosa pur di tornare all’epoca in cui il suo corpo era di legno, ma il suo babbo era ancora al suo fianco. Giunto sull’altura, vide una ragazza pallida, dai boccoli mogano, che si dimenava fra le onde, urtando contro gli scogli. D’istinto, il giovane si tuffò e la raggiunse. Afferrò l’esile mano della fanciulla, attirandola a sé. Era levigata, fredda, bianchissima.
“Lasciami andare. La mia vita non ha senso.” sussurrò lei, cercando di allontanarlo.
Pinocchio la strinse più forte, incoraggiandola dolcemente:“Non dire così. Troveremo una soluzione insieme, ma ti prego, non dire più cose simili!” La signorina lo avvisò:“Finirai nei guai, se non mi lasci perdere!”
Neanche finì di dirlo: precipitarono in un gorgo d’acqua. Pinocchio non lasciò mai la presa, nonostante lei cercasse di staccarsi. Sballottati dalla corrente in ogni direzione, con il mare nelle narici, svennero. Al risveglio, si trovarono in una grotta sottomarina. Dietro delle sbarre.
“Te l’avevo detto. È tutta colpa mia!” pronunciò la ragazza, affranta.
“Ho scelto io di rimanerti accanto. E poi non ti avrei mai abbandonata così.” ribatté Pinocchio.
In quel momento arrivò un uomo dalla testa di barracuda che ringhiò: “Finalmente ti ho presa, Morena! Quando la luce della luna piena filtrerà sull’altare bagnato del tuo sangue, potrò diventare interamente umano!”
La ragazza spiegò a Pinocchio che il suo nemico di sempre l’aveva in pugno e ormai era finita: l’avrebbe sacrificata per ottenere sembianze umane. Tuttavia non spiegò perché volesse lei, tra tante ragazze. Quando lui glielo chiedeva, lei cambiava discorso. Per circa tre settimane i due prigionieri condivisero il cibo, si scambiarono conforto ed attenzioni. Poi, arrivò il plenilunio. Il mostro aprì la cella e afferrò Morena, la quale si dibatté e supplicò invano, con gli occhi rilucenti di terrore. La trascinò su un altare di pietra circondato da teschi umani. Le bloccò i polsi, spalancando le orride fauci zannute. Pinocchio, commosso, si offrì al posto della fanciulla.
“No, Pinocchio, non funzionerà! Tu non sai… lascia stare!” strillò subito lei.
Invece l’uomo barracuda lo scrutò, lo annusò, strofinò il muso viscido sulle sue braccia. Dopodiché richiuse Morena in cella e prese il ragazzo. Lo sdraiò di prepotenza sulla fredda ara rocciosa. Pinocchio ebbe paura, ma poi pensò a Geppetto e si rilassò.  Il mostro lo azzannò ripetutamente sulle braccia, al viso, infine sul collo. La vittima si dibatteva per via dei riflessi, urlava. L’uomo barracuda protraeva sadicamente la sua agonia, affondando le due file di denti aguzzi come spilloni nella tenera carne. A nulla valsero le grida disperate della giovane: la luna era ancora splendente in cielo quando Pinocchio giaceva sull’altare insanguinato, esanime. Il barracuda, con i denti e la bocca ancora lordi di rosso, divenne umano. Gioì, a dispetto dei singhiozzi di Morena, saltellando in giro come un moccioso. I suoi festeggiamenti, però, furono brevi: l’alta marea notturna sommerse rapidamente la grotta e lui, ormai senza branchie, affogò nel giro di pochi minuti. Morena afferrò le chiavi che vide fluttuare dinanzi a sé, allungò il braccio oltre le sbarre e le afferrò. Libera, si aggrappò al corpo di Pinocchio; arrivò in fretta in superficie e poi alla spiaggia. Osservò quel coraggioso nobile ragazzo dall’aspetto dolce, straziato crudelmente. Gli si inginocchiò accanto e scoppiò a piangere. La sua pelle bianca ed il suo abitino immacolato si erano macchiati, ma non le importava. Le sue lacrime, che stranamente non erano salate, riportarono in vita Pinocchio. Il giovane, aprendo gli occhi, domandò cosa fosse successo. Morena gli raccontò della morte dell’uomo barracuda e di come avesse fatto lei a portarli fuori dalla grotta.
“Non sapevo fossi abile, in acqua, visto che la prima volta…” Pinocchio non riuscì a finire la frase, che si accorse di esser tornato un burattino. Più grande, più alto di prima, però di legno. Vergognandosi, scattò in piedi e corse a nascondersi dietro uno scoglio.
Morena lo inseguì e domandò: “Cosa c’è?”
“È meglio se non mi cerchi. Mai più. Sono… sono un…”
Lei lo raggiunse. Il sole, alto nel cielo, illuminò le venature del legno ed il suo colore caldo. Pinocchio chinò il capo, umiliato. Morena gli si accostò, gli toccò una spalla sorridendo e sollevò l’orlo della gonna, scoprendo un buco attorniato da crepe sulla caviglia candida.
“Io non sono una ragazza. Sono una bambola di porcellana. E nessun umano può innamorarsi di una pupattola. Nessuno mi vuole, perciò volevo uccidermi. E l’uomo barracuda aveva bisogno del sangue di una creatura giocattolo vivente per riuscire nel suo intento. Scusami, non sapevo che con il mio pianto ti avrei colpito con questo maleficio! Meritavo di morire per mano dell’uomo barracuda!” spiegò, mortificata.
Pinocchio le prese le mani gelate, rassicurandola: “Ma vedi io… io in realtà sono un burattino! E adesso che non sono più umano, potremo stare insieme… se lo vorrai.”
Morena lo guardò con gli occhi più luccicanti che mai, e lo baciò.
“Sono contento di aver capito che felicità non dipende dalle sembianze che hai, ma da coloro che ti circondano!” esclamò Pinocchio.

 

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