“E il vecchio Pinocchio di legno dove si sarà nascosto? ‘Eccolo là’. rispose Geppetto: e gli accenno un grosso burattino appoggiato a una seggiola, col capo girato sur una parte, con le braccia ciondoloni e con le gambe incrocicchiate e ripiegate a mezzo, da parere un miracolo se stava ritto. Pinocchio si voltò a guardarlo e … “
… fu un attimo. Sentì come un’esplosione dentro di sé che lo dilatò all’infinito. Si sentì come una bolla che toccava gli estremi dell’universo e tutto conteneva: lui era la bolla, l’universo era dentro di lui, lui era l’universo. Le voci e i suoni che l’attimo prima sentiva lì, ora gli arrivavano da lontano, ovattati, in quella bolla dove percepiva contemporaneamente il passato, il presente e il futuro; dove tutto era qui e ora, dove tutto era uno; dove tutto era serenità: come all’aurora in riva al mare. Sebbene sbigottito, si lasciò andare alla sensazione. Percepì che il privilegio di viverla era la conseguenza della scelta, assai profonda e irreversibile, di non lasciare più nelle mani di alcuno i fili della propria vita. Percepì che invisibili fili lo legavano ad un passato sconosciuto e a un futuro da costruire, tenuti da chi lo conosceva assai bene e perciò sapeva perché era lì. Una serenità che non aveva mai provato lo penetrò, lo avvolse e lo invase in ogni angolo della mente: ebbe la sensazione che tutti i tasselli del mosaico della sua vita fossero ciascuno al posto giusto. Percepì l’Armonia: la sua vita, come quella di ciascuno, aveva un senso; ora lo sapeva e scoprirlo era il suo compito. La bolla lentamente si richiuse ma la serenità non l’abbandonò: la sua mente era sgombra e non formulò alcun pensiero, così impedendole d’imbrigliare quella serenità senz’altro più grande di lei perché apparentemente senza motivo. Per un attimo, senza distogliere lo sguardo dal burattino, aveva respirato il respiro dell’universo. Ricordò le parole che pronunciò Monsignor Bienvenue 1, alla vista di un grosso ragno nero. Guardò il burattino, gli sorrise teneramente e con amore assai profondo gli disse: “Non è colpa tua!”. Lo raccolse e lo abbracciò sollevando gli occhi verso l’orizzonte e ripetendo alcuni versi più e più volte, a voce sempre più alta e con crescente felicità: “… io sono il padrone del mio destino: / io sono il capitano della mia anima” 2. 1 Victor Hugo, “ I miserabili”. 2 William Ernest Henley, “Invictus”.,