Madame Bovary

Madame Bovary

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Charles intanto cuciva. Le mani pallide spingevano l'ago da sutura su e giù, in una successione ordinata di punti. Per compattare l'imbottitura aveva usato cotone e garze e sentiva sotto le dita la consistenza familiare dei suoi strumenti di lavoro. Finì di chiudere il ventre della bambola e e decise che non avrebbe mai più fatto il dottore. Se la medicina non aveva salvato Emma, che precipitasse all'inferno! Avrebbe fatto qualcos’altro. Ma era rinchiuso in quella casa da settimane, forse un mese.

(4 voti, media 4.00 di 5)

Il mausoleo di Emma, il genio recante una torcia spenta, adesso viveva: Charles guardava ogni cosa, ed i suoi occhi parlavano lo stesso linguaggio di quelli della moglie, egli assaporava le sue gioie, veniva invaso dai suoi dolori, dalla frivolezza, dall’attrazione irresistibile per la mondanità; doveva comprenderla, lui solo l’aveva veramente amata, ed a lui solo adesso veniva dato di penetrare intero il mistero della sua Anima trafitta da venti invincibili…

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Le spalle erano scosse da un gran tremito mentre le dita stringevano convulsamente il bianco lenzuolo. Gocce di sudore le imperlavano il volto cereo, gli occhi roteavano freneticamente, i denti battevano senza controllo e dalla bocca fuoriuscì un fiotto di sangue vermiglio, un sottile contrasto tra il carnato pallido e l'anima corrotta.
Charles, il volto rigato di lacrime e gli occhi di brace colmi di una profonda angoscia, le accarezzò i lunghi capelli sparsi confusamente sui cuscini, morbidi e lucenti. ad ogni suo tocco sentiva Emma fremere.

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Emma era disperata. Avanzava malvolentieri e con passi pesanti verso casa, non sapendo quali spiegazioni dare a suo marito. Passò davanti alla chiesa avvolta nel buio e, all’improvviso, colpita dalla luce che veniva da una finestra della canonica, si fermò e decise di andare dal reverendo Bournisien.
Lo trovò intento a prepararsi la cena. Appena lui la vide così pallida e stremata le chiese se si sentisse male.

(3 voti, media 2.67 di 5)

“…Tutto quello che c’era nella sua testa, emozioni, ricordi , idee, tutto fuggiva in un sol colpo, come le mille luci di un fuoco d’artificio.”

Emma si sentiva impazzire. Quasi istintivamente raggiunse la sua sontuosa dimora percorrendo il viale ansimando, mentre alcune foglie secche si impigliavano nel suo cappellino blu e le piume si confondevano fra i rami più bassi degli alberi.

(46 voti, media 4.74 di 5)

Il dottor Lerivière annuiva, forse intravedeva una speranza. Volle portare Canivet nella stanza vicina per consultarsi privatamente con lui. Charles non li seguì. Era sconvolto, per quanto sforzasse la mente non riusciva a comprendere il folle gesto di sua moglie. Qualcosa di terribile doveva esserle successo, una malattia latente, forse un’angoscia inespressa. Desiderò svegliarsi, come da un incubo, e ritrovarsi accanto la sua bella moglie sorridente e in salute.

(24 voti, media 4.42 di 5)
[La chiave girò nella serratura e lei puntò dritto verso il terzo ripiano, tanto il ricordo la guidava con precisione. Afferrò il boccale azzurro, ne stappò via il turacciolo…] e, in un moto estremo di attaccamento alla vita, come a dare un accorato addio al mondo che aveva deciso di abbandonare, guardò l’unico umano presente, Justin, che la osservava atterrito, con gli occhi spalancati e l’urlo silenzioso, soffocato dalle mani tremanti.

(151 voti, media 4.77 di 5)
Caro illustre scrittore, con questa mia miserrima carta vergata a mano, che altri oserebbero chiamare coraggiosamente “lettera”, non intendo affatto misurami con la vostra eloquenza e la vostra ampia cultura letteraria bensì desidero manifestare la mia sincera gioia per aver appreso l’esito positivo del processo che vi ha visto coinvolto, conclusosi appunto con l’assoluzione, grazie alla strenua e tenace difesa dell’avvocato Marie Antoine-Jules Sénard.

(107 voti, media 4.75 di 5) Finale vincitore!

Emma guardò fuori dalla finestra, l’unica porta sul mondo che le permetteva di fantasticare senza muoversi. Del resto, lei sognava una vita scintillante, ma temeva di mettersi in gioco. Bruciavano ancora nel suo animo le scottanti delusioni di Léon e di Rodolphe, che l’avevano nutrita di illusioni e poi lasciata morire di fame, abbandonandola. I capricci fatti per dimenticarli le erano costati cari e ora non aveva più nemmeno la sua bella dimora, sequestrata per debiti.

(75 voti, media 4.52 di 5)
Emma passò velocemente in rassegna tutte le possibili opzioni. Léon non avrebbe mai avuto il coraggio di chiedere i 3000 franchi a Morel e non si sarebbe presentato all’appuntamento. Lui era un debole: non avrebbe rischiato la reputazione e la carriera nascente neanche per aiutare la donna che diceva di amare. Era solo un giovane uomo attratto dal lei perché mosso da un ancestrale e quasi incestuoso gusto del proibito, confuso con l’amore.

(33 voti, media 4.33 di 5)

Un urlo agghiacciante, simile a quello di un animale ferito a morte, lacerò all’improvviso l’insopportabile afa che opprimeva da qualche giorno l’intera regione. Di scatto papà Rouault, che stava strigliando i cavalli, si girò in direzione della camera di Emma: l’urlo proveniva da lì. Fece di corsa le scale (la gamba ormai era perfettamente guarita grazie al dottor Bovary), ed entrò nella stanza. Emma era seduta sul letto madida di sudore, con gli occhi sbarrati e fissi nel vuoto. I lunghi capelli neri, sciolti sulle spalle, le incorniciavano il viso cereo.

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